Le ragioni del NO al referendum 2023 alla revisione del Codice Deontologico. Da chi il Codice lo ha scritto.

Dal 21 al 25 Ottobre si vota. Per una revisione che presenta problemi di democraticità, di anacronismo, ma soprattutto delle rinunce importanti ai principi fondanti del Codice Stesso. Di seguito un parere di Eugenio Calvi, uno dei padri fondatori del nostro Codice. E un invito. A votare NO.

di Eugenio Calvi

OSSERVAZIONI AL TESTO DEL NUOVO CODICE DEONTOLOGICO DELLE PSICOLOGHE E DEGLI PSICOLOGI, SOTTOPOSTO A REFERENDUM DAL 21 AL 25 SETTEMBRE 2023

Alcuni psicologi hanno chiesto di conoscere la mia opinione sul nuovo articolato del Codice deontologico, che viene ora sottoposto a referendum. Le osservazioni che propongo non esauriscono l’esame delle modifiche contenute nell’articolato, ma si si limitano a evidenziare le criticità che ritengo di rilevare alla lettura di due articoli in particolare, che suscitato non poche e giustificate perplessità.

Più precisamente, si tratta delle norme che regolano il segreto professionale (art. 11 e 12) e quelle che attengono al trattamento su persone minorenni o incapaci (art. 31)

Esaminando il problema del segreto professionale, vi invito a considerare queste tre modalità con le quali è stata regolata la materia: più precisamente la normativa deontologica dei medici, e le due edizioni del nostro codice.

Art. 10 del vigente codice di deontologia medica:

Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto professionale.  Il medico informa i collaboratori e discenti dell’obbligo del segreto professionale sollecitandone il rispetto. La violazione del segreto professionale assume maggiore gravità quando ne possa derivare profitto proprio o altrui, ovvero nocumento per la persona assistita o per altri. La rivelazione è ammessa esclusivamente, se motivata da una giusta causa prevista dall’ordinamento o dall’adempimento di un obbligo di legge.

Il medico non deve rendere all’Autorità competente in materia di giustizia e di sicurezza testimonianze su fatti e circostanze inerenti al segreto professionale.

La sospensione o l’interdizione dall’esercizio professionale e la cancellazione dagli albi non dispensano dall’osservanza del segreto professionale.

Art. 11 del vigente codice deontologico degli psicologi

Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti. [N.B. Le ipotesi in oggetto riguardano gli obblighi di referto e di denuncia]

Art. 12 vigente codice deontologico degli psicologi

Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo, può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianzaesclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione.  Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.

Art.12 del codice sottoposto a referendum

La psicologa e lo psicologo si astengono dal rendere sommarie informazioni o testimonianza su quanto conosciuto per ragione della propria professione.

La psicologa e lo psicologo possono derogare all’obbligo del segreto professionale in presenza di un valido e dimostrabile consenso della persona destinataria della prestazione.  Valutano, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando predominante la tutela psicologia della persona destinataria della prestazione.

In assenza di consenso della persona destinataria della prestazione e salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria, la psicologa e lo psicologo devono astenersi dal rendere informazioni, e in caso di testimonianza devono rimettersi alla motivata decisione del Giudice.

Come dunque appare evidente, sia il codice medico, sia quello degli psicologi ancora vigente escludono tassativamente che il professionista (medico o psicologo) possa riferire in sede di testimonianza fatti di cui è venuto a conoscenza nell’esercizio della sua professione.  Sempre e in ogni caso, a meno che non vi sia il consenso del destinatario della prestazione.  Il che rappresenta, come è a tutti noto, il fondamento indefettibile della fiduciarietà del rapporto con il cliente, sia esso paziente o più in generale utente.

In totale dispregio di questo basilare principio deontologico, il codice proposto a referendum impone allo psicologo di “rimettersi” alla decisione del Giudice, in caso di “testimonianza”.  Con il che diventa, stando alla lettera dell’articolo, sufficiente che un qualsivoglia giudice, con piena sua discrezionalità, richieda allo psicologo di riferire quanto appreso dal proprio paziente, affinché lo psicologo – ignorando l’eventuale dissenso del paziente medesimo – si senta pienamente e deontologicamente autorizzato a spiattellare ciò che, in estrema confidenza, gli è stato, appunto, confidato. Qui occorre anche aggiungere che la distinzione che viene fatta nell’art. 12 tra “sommarie informazioni” e “testimonianza”, limitando alle prime l’obbligo assoluto di segreto, è altamente confusivo, nonché privo di fondamento logico-giuridico, essendo tale distinzione, in punto “segreto”, ultronea.

Ci si deve allora domandare quale persona potrà mai affidarsi allo psicologo psicoterapeuta, piuttosto che a uno psichiatra psicoterapeuta, sapendo che – perché di ciò deve essere, ovviamente, previamente informata (art. 4) – solo quest’ultimo tutelerà fino in fondo il segreto professionale, da qualsiasi parte gli venga richiesto di violarlo. Una ricaduta pratica di non poco conto sulla nostra professione.

Qualcuno potrebbe obbiettare che il codice di procedura penale (art. 200), pur affermando il diritto di conservare il segreto per chi ha conosciuto eventi in ragione del proprio ministero, ufficio o professione, tuttavia consente al giudice di valutare la fondatezza dei motivi avanzati per esimersi dal deporre.  Quindi, alla fin fine, il giudice può obbligare a testimoniare.   Però occorre precisare che, sempre lo stesso art. 200 c.p.p., dispone che soltanto nel caso che non siano ravvisati fondati motivi di astensione il giudice può obbligare a deporre. Dunque, se il codice deontologico “impone” come assoluto l’obbligo di astensione (cosa che accade con la norma in vigore), il giudice non può che concludere per la fondatezza delle ragioni del tacere.   In altri termini, quando il codice deontologico stabilisce come assolutamente obbligatoria la conservazione del segreto, neppure il giudice è legittimato a costringere a deporre.

Allora, con il “vecchio” codice deontologico lo psicologo – al pari del medico,  (e al pari di “ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano,  avvocati, investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici e notai, medici e chirurghi, farmacisti,  ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria” –  come indicato nel citato art. 200 c.p.p.) può pacificamente astenersi dal testimoniare e dal rendere sommarie informazioni, invocando proprio il vincolo deontologico che lo obbliga a tacere; con il “nuovo” codice, tale ragione viene a cadere e si conferisce al giudice il potere assoluto di imporre la violazione del segreto.    Un bel risultato, che mina alla radice il diritto / dovere di conservare il segreto “tombale” su ciò che passa tra il professionista e il cliente!   In fondo, con il nuovo codice deontologico si concede, sull’obbligo di serbare il segreto, di più di quanto la stessa legge comune (il codice di procedura penale) disponga, poiché quest’ultima riconosce il diritto di astensione dal testimoniare quando vi siano “fondati motivi” per farlo, mentre deontologicamente – col nuovo articolo 12 – dei “fondati motivi” proprio non si parla, e ci si rimette supinamente alle decisioni del giudice. Sfugge francamente la ratio di questa modifica. Se questa fosse anche la sola ragione per la “bocciatura” del proposto nuovo codice, direi che sarebbe ampiamente sufficiente, stante la rilevanza dell’argomento “segreto professionale”, che è il cardine sul quale poggia la fiduciarietà del rapporto professionale dello psicologo.

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Una ulteriore ragione di perplessità riguarda l’art. 31.

Anche qui, per chiarezza, richiamiamo le due versioni: quella del codice tuttora vigente, e quella della proposta referendaria.

Art. 31 del codice deontologico vigente degli psicologi

Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela.  

Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale.

Sono fatti salvi i casi cui tali prestazioni   avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente, o in strutture legislativamente preposte.

Art. 31 del codice deontologico degli psicologi proposto a referendum

 I trattamenti sanitari rivolti a persone minorenni o incapaci sono subordinati al consenso informato di coloro che esercitano sulle medesime la responsabilità genitoriale o la tutela.

La psicologa e lo psicologo tengono conto della volontà della persona minorenne o della persona incapace in relazione alla sua età, e al suo grado di maturità nel pieno rispetto della sua dignità.

Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato di cui al primo comma, ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa l’autorità giudiziaria.

Sono fatti salvi i casi in cui il trattamento sanitario avvenga su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte

Come appare evidente, mentre il “vecchio” codice si riferiva a tutti i tipi di prestazione professionali dello psicologo, il codice “nuovo” limita il discorso del consenso informato ai “trattamenti sanitari”.

Ci si chiede allora: per tutto il vasto mondo degli interventi dello psicologo che non siano riferibili a quelli di diagnosi e cura o alla ricerca (v. art. 9), il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale, ovvero la tutela nel caso dell’incapace, non è più necessario? Si pensi alle prestazioni dello psicologo scolastico o a quello dello sport, solo a titolo di esempio. In altri termini, negli ambiti professionali non sanitari e non di ricerca, la responsabilità dei genitori o del tutore dell’incapace è completamente espropriata, è del tutto cancellata?  Parrebbe proprio di sì, visto che qui non ci riferisce più, genericamente, alle “prestazioni professionali”, bensì ai soli “trattamenti sanitari”, come subordinati al “consenso” del titolare della responsabilità.   E allora, alla stregua di quanto è stabilito dalla nuova edizione dell’art. 31, si deve considerare “deontologicamente corretto” che il soggetto minorenne, o legalmente incapace, sia sottratto alla responsabilità che su di lui ha il genitore o il tutore, in quelle prestazioni psicologiche che non sono di ricerca o sanitarie.

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Molte altre imperfezioni si potrebbero rilevare su diversi articoli, ad esempio, a citarne una sola, non si capisce perché (art. 22) si prescrive che lo psicologo debba attenersi alle “linee guida e alle buone pratiche” soltanto nelle sue attività sanitarie, e non in tutte le altre, nelle quali parimenti si sente tale necessità: ad esempio, nel campo della psicologia forense, dove le linee guida sono fiorite, si sono ampiamente diffuse e sono richiamate nella recente riforma Cartabia.

E ancora: all’art. 23 si afferma che in ambito clinico il compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale, il che è certamente esatto; ma tale dichiarazione lascia intendere che in tutti gli altri ambiti professionali tale regola non vige.  Ciò è profondamente errato, perché – ad esempio – anche nella sfera delle perizie e delle consulenze si tratta di obbligazione di mezzi e non di risultati, come previsto dal codice civile.

Insomma, la presente revisione del codice deontologico, rappresenta, nella mia valutazione, un’occasione perduta, ad esempio per la tipizzazione delle sanzioni in relazione alle infrazioni disciplinari (come è avvenuto in occasione della revisione del codice forense) e, insieme, un peggioramento della normativa deontologica in merito a temi fondamentali della professione, di cui abbiamo portato solo pochi esempi.

Personalmente, visto che è stata richiesta la mia opinione, non posso che consigliare un netto “NO” al prossimo referendum, per i prevedibili problemi e contenziosi che solleverà il nuovo articolato.

Torino, 19.9.2023

Eugenio Calvi

Psicologo e Avvocato, docente di Deontologia e Coordinatore del gruppo di lavoro per la formazione del primo Codice deontologico degli psicologi italiani.

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