La peggio revisione
Tra poche settimane entrerà in vigore la più discussa revisione del Codice Deontologico di sempre. Vediamo come impatterà nel lavoro quotidiano degli psicologi italiani. Con un giudizio per le sei modifiche sostanziali.
di Mauro Grimoldi
Forse l'hanno presa come una gara. Per questo il Cnop, è ormai pressoché certo, non rinvierà alle commissioni istruttorie la discussa versione del codice deontologico passata con un minimo margine al referendum dello scorso settembre. Come in una gara di Formula 1, o nel gioco delle biglie dei bambini, quel 3% che ha decretato la vittoria del "sì" è stata evidentemente considerata da Lazzari e dai suoi alla stregua di una vittoria politica, nel silenzio colpevole delle opposizioni che hanno lasciato fare.
Il tamtam spontaneo sui social per il “no” non è bastato ad ammettere l’esistenza di obiettivi problemi tecnici nel testo di molti articoli e consacra al ricordo collettivo quella che può essere considerata la peggiore revisione del codice deontologico dalla sua promulgazione, nel 1994.
Ma questo è il codice deontologico degli psicologi italiani, e così, appena entrerà in vigore, tra qualche settimana, condizionerà il lavoro quotidiano di 130.000 professionisti. Vediamo come. Con un giudizio sulle sei modifiche più rilevanti, partendo dalla peggiore.
Articolo 4: sparisce il principio di non discriminazione
Giudizio: pessimo, incomprensibile, gravissimo.
Un caposaldo del nostro codice, una stella polare, un principio fondamentale di tutti i codici deontologici dei paesi moderni, liberi e democratici sparisce dal nostro nel silenzio. La litania del codice delle “psicologhe e psicologi” è quindi solo demagogia vuota? Incredibile.
Versione attuale | Revisione 2023 |
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. | (Le psicologhe e gli psicologi..) Riconoscono le differenze individuali, di genere e culturali, promuovono inclusività, rispettano opinioni e credenze e si astengono dall’imporre il proprio sistema di valori. |
Conseguenza: Alcune pratiche terapeutiche considerate unanimamente discriminatorie, come le terapie riparative dell’omosessualità teorizzate da Nicolosi e dichiarate illegittime in passato dal CNOP e da diversi Ordini regionali proprio perché contrarie all’articolo 4, rischiano di non essere più sanzionabili e di tornare ad essere una pratica lecita. Sarà il codice delle psicologhe e psicologi, ma evidentemente non quello di chi rischia di essere discriminato. Basterebbe questo per imporre un'immediata revisione di tutto l’impianto del “nuovo” codice. Vergogna, ma sul serio.
Articolo 12: il segreto si, ma non sempre
Giudizio: peggiorativo, confusivo e contraddittorio. Ci si astiene dal rendere sommarie informazioni o testimonianza ma salvi i casi in cui si ha l'obbligo di riferire.
Versione attuale art. 12 | Revisione 2023 |
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. | La psicologa e lo psicologo si astengono dal rendere sommarie informazioni o testimonianza su quanto conosciuto per ragione della propria professione. |
Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso. | La psicologa e lo psicologo possono derogare all’obbligo del segreto professionale in presenza di un valido e dimostrabile consenso della persona destinataria della prestazione. Valutano, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica della persona destinataria della prestazione. |
In assenza del consenso della persona destinataria della prestazione e salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria, la psicologa e lo psicologo devono astenersi dal rendere informazioni, e in caso di testimonianza devono rimettersi alla motivata decisione del Giudice. |
Conseguenze: lo psicologo che dovesse ricevere in studio un cliente che abbia commesso dei reati, oltre i casi in cui è pubblico ufficiale o in cui ci sono pericoli immediati per qualcuno, dovrebbe comunque specificare che in certi casi (quali, non è chiaro) potrebbe dover riferire il contenuto delle dichiarazioni del paziente. E consigliargli, nel suo proprio interesse, di lasciar perdere gli psicologi e di andare da uno psichiatra, che, lui si, poiché il codice deontologico dei medici lo prevede, il segreto professionale lo potrà tenere ben saldo.
Articolo 17: eliminata la sanzione ai trapassati
Giudizio: lapalissiano ma migliorativo. E’ stata eliminata una parte grottesca del Codice che avrebbe implicato l’esigenza di evocare il collega deceduto per applicare un’eventuale sanzione.
Versione attuale | Revisione 2023 |
Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega ovvero all’Ordine professionale. | Eliminato. |
Conseguenze: in caso di decesso, lo psicologo non si dovrà preoccupare dei propri appunti.
Articolo 21: un regalo ai formatori di counselor
Giudizio: Pessimo, ci riporta al punto di partenza nella tutela della professione dall'esercizio abusivo. Già non era facile trovare uno studente che segnalasse un formatore. Adesso si scivola nel grottesco: il formatore dovrebbe esplicitare l'obiettivo di formare psicologi abusivi. In più, quella premessa inutile, che suona come un chiaro invito a svendere la professione. Il 21 perde il suo vero senso: difendere le prerogative riservate di una professione.
Versione attuale art. 21 | Revisione 2023 |
La psicologa e lo psicologo anche attraverso l’insegnamento, in ogni ambito e ad ogni livello, promuovono conoscenze psicologiche, condividono e diffondono cultura psicologica. | |
L’insegnamento dell’uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave. | Tuttavia costituisce grave violazione deontologica l’insegnamento a persone estranee alla professione psicologica dell’uso di metodi, tecniche e di strumenti conoscitivi e di intervento propri della professione stessa. |
Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all’attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo. Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici. È fatto salvo l’insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitari in psicologia e ai tirocinanti. È altresì fatto salvo l’insegnamento di conoscenze psicologiche. | Costituisce aggravante il caso in cui l’insegnamento dei metodi, delle tecniche e degli strumenti specifici della professione psicologica abbia come obiettivo quello di precostituire possibili esercizi abusivi della professione. |
Conseguenze: gli psicologi che formano counselor e coach possono dormire sonni più tranquilli. Era già difficile che qualcuno li segnalasse, ma l'articolo 21 costituiva un importante baluardo, che sottolineava l'esistenza di conoscenze riservate non trasmissibili. Oggi, anche in caso di segnalazione circostanziata, sanzionare per la diffusione di tecniche psicologiche è divenuto impossibile. La psicologia come professione ne riceve una ferita grave.
Articolo 22: linee guida e buone prassi, ma solo per i sanitari
Giudizio: pessimo e incomprensibile. Non si riesce a comprendere come e perché solo gli psicologi che operano in ambito sanitario debbano essere i soli tenuti ad attenersi a linee guida e buone prassi. Gli psicologi giuridici o quelli del lavoro, solo per fare due esempi, possono invece fare come gli pare?
Versione attuale Articolo 22 | Revisione 2023 |
Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, | La psicologa e lo psicologo adottano condotte non lesive per le persone di cui si occupano professionalmente, |
e nelle attività sanitarie si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali. | |
e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sè o ad altri indebiti vantaggi. | Non utilizzano il loro ruolo ed i loro strumenti professionali per assicurare a sé o ad altre persone indebiti vantaggi. |
Conseguenze: uno psicologo giuridico che generasse un danno al paziente avendo violato le linee guida riferibili allo specifico della propria professione (ad esempio facesse perizie su propri pazienti, non registrasse i minori, contattasse privatamente i periziandi…) non sarebbe più sanzionabile per questo specifico.
Articolo 24: il consenso informato (e documentato)
Giudizio: discreto. La modifica allinea il 24 con le leggi attualmente in vigore. La specifica riguardante l'acquisizione attraverso videoregistrazione è pleonastica. Il primo capoverso è confusivo, lasciando intendere che il consenso informato riguardi solo gli psicologi che operano in ambito sanitario.
Versione attuale art. 24 | Revisione 2023 |
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata. | Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni al contesto e alle condizioni della persona, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazione o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. L’acquisizione del consenso informato è un atto di specifica ed esclusiva responsabilità della psicologa e dello psicologo. La psicologa e lo psicologo informano la persona interessata in modo comprensibile, completo e aggiornato sulla finalità e sulla modalità del trattamento sanitario, sull’eventuale diagnosi e prognosi, sui benefici e sugli eventuali rischi, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario. |
Conseguenza: si deve documentare il consenso come atto anzitutto informativo. Lo si può fare anche attraverso videoregistrazione o con un documento scritto.
In conclusione
Rimangono del tutto assenti dal nuovo Codice temi fondamentali e urgenti come l'incidenza delle nuove forme di comunicazione psicologo-cliente, la gestione dei messaggi online e dei profili social pubblici e privati. Non solo: mancano anche alcuni trattati da altri codici deontologici di psicologi di altri paesi ma assenti dal nostro, (si veda ad es Kluntgen, o Leach e Harbin, 2010) come l’oggettività e l’onestà delle qualifiche con cui lo psicologo si presenta , l’enorme tema, di molto perfettibile, dei rapporti tra colleghi, della collaborazione, della correttezza nei rapporti di fiducia e nella concorrenza; i doveri di segnalazione dei colleghi e altri professionisti; i doveri di lealtà verso il paziente e il contrasto al conflitto di interessi; e l 'altro grande tema, che ha impegnato diverse commissioni etiche, delle dichiarazioni pubbliche dello psicologo.
Le lacune del nostro codice non sono quindi state riparate in alcun modo. Inoltre, delle sei grandi variazioni in fase di introduzione, quattro sono peggiorative. Molto grave la cancellazione del principio di non discriminazione che caratterizza pressoché tutti i codici deontologici dei paesi liberi e il depotenziamento dell'articolo 21, che, oltre a rendere ancora più difficile la tutela dall'abusivismo, mette un'ipoteca sulla stessa professione di psicologo. Indebolito anche il segreto professionale.
Purtroppo, la speranza in un consiglio nazionale che prendesse atto dei rilievi tecnici e rimandasse il testo a una successiva e migliore revisione sembra destinata alla delusione. Un’amica di vecchi tempi amava dire che non si può mai fare sempre bella figura. Speriamo che chi verrà in un prossimo futuro dimostri di avere maggiore senso di responsabilità nei confronti della comunità degli psicologi italiani, oggi dotata di un codice deontologico a tratti imbarazzante ed esposta a condizioni di lavoro peggiori del passato.